Da Il Mattino
Settanta film, quarantasei titoli televisivi all’ attivo, settantuno anni. «Capri, Hollywood» premia oggi Jonathan Pryce con il Capri Legend Award per le sue straordinarie interpretazioni, il premio di maggior importanza della kermesse, attribuito in passato a personaggi come Samuel L. Jackson e Helen Mirren. L’ attore originario del Galles arriva al festival del cinema caprese spalla a spalla con il regista con cui ha realizzato una collaborazione ventennale cominciata con «Brazil» nel 1988 consolidata oggi con «L’ uomo che uccise Don Chisciotte», Terry Gilliam. Sarà lui a consegnargli il premio durante la cerimonia questa sera. Dopo la sua incredibile interpretazione in «The wife» di Bjorn Runge, il cattivo di «007Il domani non muore mai» di Elliot Carver, il Peron di «Evita», il governatore Swann della saga dei «Pirati dei Caraibi», l’ Alto Passero di «Il trono di spade» sarà Papa Francesco in «The Pope» di Fernando Meirelles, al fianco di Anthony Hopkins, che vestirà i sacri panni di Papa Ratzinger.
Com’ è essere sul set con Terry Gilliam?
«Terry mi dà la possibilità di interpretare qualsiasi ruolo con una libertà attoriale che non è sempre scontata. Partendo da Brazil per arrivare a tutti gli altri lavori che abbiamo fatto insieme, la cosa che lo distingue è che lui, a differenza di altri registi, non pretende di sapere tutto sui suoi personaggi. Al contrario, sa già cosa vuole esattamente da te come attore, cosa aspettarsi dal tuo modo di interpretare il soggetto che ti ha assegnato. Terry impiega attori per cercare di portare a un livello successivo la sua visione, sa che diventerà molto più grande e complessa collaborando insieme.
Non pretendere di sapere cosa significhi recitare, anzi è aperto al dialogo».
Qual è il ruolo che è stato più interessante da interpretare per lei?
«Mi piace tutto quello che ho fatto, ma sono molto affezionato a questo ultimo lavoro che ho fatto con Terry Gilliam. Potrebbe anche rappresentare il culmine della nostra collaborazione. In più, Don Chisciotte, così come voluto da Terry, ricongiunge tutti i ruoli che ho interpretato a teatro fino a oggi. Penso che sia stato il film più divertente che abbia girato e mi ha permesso di fare cose come attore che sui set ormai si fanno poco, per esempio sono andato a cavallo e ho cantato.
Capita raramente oggi che ti chiedano di fare cose del genere in un film.
Per questo sono convinto che rappresenti il culmine di tutta la mia carriera».
E Papa Francesco? Un ruolo come un altro?
«Molto emozionante. Poi, mi sono rasato e ho messo su qualche chilo. Il mio approccio alla recitazione è quello di scoprire il personaggio, attenendomi alla sceneggiatura.
Non faccio mai ricerche che vadano oltre quanto scritto nello script. Nello specifico, si tratta di un personaggio molto complesso, con una storia difficile. Io non sono un conoscitore della storia del papato in generale, non sono religioso e non me ne sono mai interessato molto. Quindi è stato come entrare in un mondo alieno e scoprire nuove realtà difficili e importanti. Papa Francesco è un personaggio ambivalente: molto apprezzato dal pubblico, ma fortemente criticato dalla Chiesa, in più ci sono diverse controversie sul suo passato da sacerdote e il film si basa proprio su questo: un’ indagine sulla storia di Bergoglio, prima che diventasse Papa, e il suo costante lavoro che ha compiuto per combattere queste controversie».
Quale sarà la struttura del film?
«Il film si basa su una conversazione tra Papa Francesco e Papa Benedetto XVI e, nonostante questa struttura possa sembrare noiosa, è pieno di vita e d’ azione. C’ è un ottimo lavoro cinematografico alle spalle, ci sono delle scene in cui si vede Bergoglio da giovane, alcune sono originali, altre sono state realizzate sul set e posso assicurare che non si riesce a notare la differenza.
Non sarà un biopic, non sarà un film per soli credenti, vogliamo renderlo fruibile a tutti».
Qual è stata la sua preparazione per «The wife»?
«Io non ho letto il libro a cui è ispirato il film, perché, come dicevo, non mi piace fare ricerche al di fuori dello script. Voglio cercare di rendere al meglio quello che il regista ha messo in un copione e quello che il pubblico vedrà è la visione del regista, non la mia. La preparazione per questo ruolo è stata semplice: io sono stato sposato per 47 anni, ne ho 71, penso che questo sia abbastanza».
Adesso porterà a Broadway «Morte accidentale di un anarchico» di Dario Fo: preferisce l’ interpretazione cinematografica o teatrale?
«Mi piace fare entrambi i lavori e mi piace poter dare parola al premio Nobel italiano, al suo teatro politico. Sono due mondi diversi, nel cinema ti trovi completamente nelle mani del regista e, poi, in quelle del montatore, mentre sul palcoscenico sei soltanto tu, hai una grandissima responsabilità, sei il montatore di te stesso, hai pieno controllo».